di Federico Garelli
libero adattamento di Pier Giorgio Gili
con Giorgio Serra, Massimo Cavagliato, Mauro Cavagliato, Rosanna Felletti, Leo Fiore, Rosanna Galleggiante, Oscar Giordanino, Angelo Greco, Sergio Lanteri, Fulvia Roggero, Alberto Senno
scene e costumi Beppe Bertero
musiche a cura di Mauro Cavagliato e Oscar Giordanino
complesso musicale Zauber
regia di Pier Giorgio Gili
TEATRO ZETA
Sappiamo che il teatro comico in piemontese si esprime con giusta e misurata essenzialità e capacità inventiva soprattutto nella farsa (estesa quasi sempre ad atto unico breve), i cui progenitori vanno ricercati nel vaudeville e nella pochade di chiara derivazione francese, da cui gli autori nostrani prendono spunto saccheggiando a piene mani trame, intrecci e situazioni, ma rifacendosi nel contempo anche all’antica tradizione italiana della Commedia dell’Arte e dell’intermezzo comico che l’opera lirica soleva inserire tra un atto e l’altro. Abili mestieranti, capaci di destreggiarsi con agilità nel campo del dramma come in quello della commedia ridanciana e buffa e quindi anche nella farsa, i nostri vari Garelli, Pietracqua, Zoppis, Bersezio, Leoni, ecc., hanno consegnato al mondo dello spettacolo non soltanto piemontese alcuni gioielli, che meritano per più ragioni una rilettura e una rivisitazione, a dimostrazione, sia pure parziale, della vitalità di un teatro che frettolosamente e ingiustamente è stato tacciato di poco spessore artistico e posto quasi nel limbo di un grigio dimenticatoio.
Il primo di questi autori è proprio quel Federico Garelli del quale la Compagnia del Teatro Zeta ha già rappresentato con successo alcune opere ( La gabia dël merlo; Ij pciti fastidi; La vos dl’onor, ecc.) e di cui nella stagione a venire allestirà La felicità ‘d Monssù Guma, in una rielaborazione “rivisitata” attraverso l’inserimento di brani musicali d’epoca, canti, cantate, balletti, che preannunciano quella trasformazione del teatro di prosa in lingua piemontese in una forma di spettacolo più vicina al vaudeville di cui si diceva. La trama dell’opera (che è dell’estate 1864 e che venne rappresentata la prima volta il 26 settembre del medesimo anno) è presto detta: narra le vicende di un impiegato ministeriale, uomo docile e portato per natura sua propria ad una rassicurante, ma assai poco realistica visione della vita, alle prese con i molti problemi del caro affitto, dello sfratto imminente, di una moglie non troppo comprensiva, degli immancabili equivoci scatenati da un prepotente nuovo affittuario dell’alloggio, gelosissimo di una consorte dal passato non propriamente adamantino e che corre il rischio di vedere calpestata l’onorabilità ora conquistata… Pur non dimenticando chi vede più di un riferimento alle famose Miserie del Bersezio (anno 1863, cui si riconoscono le stigmate del capolavoro in senso assoluto), l’opera suddetta nella sua struttura drammaturgica ingloba tutti gli ingredienti, o quasi tutti, tipici non soltanto della farsa, dell’atto unico comico o della commedia stessa, di un momento storico che ha segnato la storia d’Italia, tanto che giova forse richiamare alla memoria, insieme al fatto che Torino è ancora capitale, che insurrezioni e sommosse torinesi per la “convenzione di settembre” scoppieranno pochi giorni dopo l’andata in scena dello spettacolo, con i tristi risvolti che conosciamo. Sono, questi ingredienti, quelli che fanno grande il genere e che possiamo identificare nell’intreccio dalla struttura semplice, quasi elementare, che tende, con l’ausilio di dialoghi dalla comunicazione immediata, comune, a tradurre la quotidianità dell’esistenza; negli inevitabili equivoci di sapore a volte anche grevi, maliziosamente ridanciani; nelle tresche, spesso soltanto “pensate” o ordite senza intenti gravemente licenziosi; nei personaggi ridotti spesso a macchiette (ma si può parlare di “riduzione”?), tratteggiati dunque con acquarellistica lieve pennellata, senza curarsi di ulteriori approfondite introspezioni; nel meccanismo dell’azione, che in un tempo relativamente breve, quasi senza respiro (e per gli attori e per gli spettatori) ci conduce spumeggiando al lieto fine, che è assolutamente immancabile, talvolta risolto con qualche forzatura, vero e proprio dues ex machina; nel moralismo, troppo sovente di facciata, che è proprio del teatro piemontese ottocentesco.
- Teatro Monterosa di Torino sabato 17 gennaio 2004
- Teatro S. Giovanni di Racconigi venerdì 6 febbraio 2004
- Teatro Parrocchiale di Moretta sabato 7 febbraio 2004
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